Dragon Ball, un breve viaggio tra nomi e leggende

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Oggi facciamo un salto in terra giapponese e parliamo un po’ di Dragon Ball, versione Anime. Lo so, lo avete visto per intero tutti almeno sette volte, ma proverò lo stesso a dirvi un paio di cose che probabilmente non sapete.

Partiamo innanzitutto da uno degli elementi chiave della prima serie (quella con Goku pischello per intenderci), ovvero la scelta di creare un protagonista con la coda da scimmia. Il papà di Dragon Ball, Akira Toriyama, ha preso grande ispirazione dalle storie della tradizione cinese, in particolare da “Viaggio in Occidente”. Ma più che dalla storia risalente alla fine del 1500, è più probabile che Toriyama (nato nel 1955), sia stato segnato dalla visione della rispettiva trasposizione filmica, di animazione ovviamente, intitolata “La Principessa dal Ventaglio di Ferro” (1941, pellicola che è tra le altre cose la risposta cinese a “Biancaneve e i sette nani” della Disney, uscito nel 1939).

Il protagonista è tal Sun Wukong, che in giapponese si traduce, guarda un po’, Son Goku, ed è l’Affascinante Re delle Scimmie, sovrano e monaco guerriero mezzo-primate che combatte con un bastone allungabile. Aggiungiamo che sia di natura infantile e dedito alla lotta, che abbia vesti rosso-arancioni che ricordano quelle dei monaci, che viaggi sempre e solo in gruppo e mi pare che l’ispirazione in questo caso sia più che evidente.

Altro retroscena simpatico riguarda i nomi dati ai personaggi delle storie. I nomi umani da uomo sono spesso storpiature di cibi e bevande: Crilin (nella prima serie doppiato da Veronica Pivetti, se non lo sapevate) significa una roba tipo “castagna shaolin”, Yamcha, Iamko in Italia, vuol dire “bere il the”, Tenshinhan (Tensing) deriva dal piatto cinese Tenshindon, Gohan è il riso bollito e così via. Per i Sayan solo verdure: Vegeta (qui è evidente), Nappa (alias cavolo cinese), Radish (ravanello), Kakaroth, ovvero Goku (carota). E chi li stermina se non il freddo Freezer e suo padre Re Cold?

Parlando di nemici è facile capire cosa voglia dire Cell (cellula), così come sono quasi sicuro che non avete mai fatto caso al fatto che il mago Bibidy, padre di Babidy, ha creato Bu (si, è la formula della Fata Smemorina). Ma la più bella in assoluto è la squadra Ginew, formata appunto da Ginew (latte), Rikoom (crema), Guldo (yogurt), Butter (burro) e Jeeth (formaggio): un team di latticini.

Per le donne invece, quel bravo porcellone di Toriyama, ha deciso di puntare su altro. Le più famose: la pronuncia di Chichi in giapponese suona come la parola “seno”, Bulma è la storpiatura della parola giapponese che indica gli shorts aderenti. Quest’ultima ha un figlio che si chiama Trunks (pantaloni corti, in inglese) e una figlia di nome Bra (reggiseno), e di cognome fa Briefs (mutande). Chiudo con Mr.Satan, papà di Videl (Devil, ovvero diavolo, letto al contrario).

Ultima chicca: vi siete sempre chiesti che diavolo significasse la Z di Dragon Ball Z? Fu un errore degli autori del logo, che avevano disegnato talmente male il 2 del titolo scelto (Dragon Ball 2), che sembrava una Z. Alla fine risultò comunque accattivante e si decise di mantenerlo.

#Sapevatelo: 5 cose su… Alla ricerca di Nemo

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1) Come dichiarato dal suo stesso regista, Andrew Stanton, doppio premio Oscar, prima proprio con “Alla ricerca di Nemo” e poi con “WALL-E” (e facciamo finta per la sua carriera che non sia mai esistito “John Carter”), tra le principali fonti di ispirazione per il film Pixar ci sarebbe stato “Bambi” (1942). Stanton definirà il film una sorta di “Bambi sottomarino” e moderno: entrambi affrontano il lutto iniziale della madre, l’allontanarsi dal nido con conseguente storia di formazione e il ritorno a casa memore dell’esperienza affrontata. In “Alla ricerca di Nemo” il viaggio è però doppio: è sia del figlio, Nemo, che del padre, Marlin, che è decisamente l’antitesi del padre di Bambi…

2) Paradossalmente (ma mica tanto, giusto per far capire quanto bene gli spettatori avessero colto uno dei tanti messaggi lanciati da “Alla ricerca di Nemo”), dopo l’uscita del film la richiesta mondiale di pesci pagliaccio e di altre specie tropicali appartenenti alla zone della Barriera Corallina aumentò vertiginosamente, tanto da decretare un’emergenza ambientale. Dall’altra parte, sempre nel 2003, il turismo in Australia ebbe un picco incredibile dovuto proprio al film, che fu usato dalla Commissione Australiana del Turismo come spot da mandare negli Stati Uniti e in Cina

3) “Alla ricerca di Nemo” è stato a lungo il DVD più venduto di tutti i tempi: da stime risalenti al 2006 (più recenti per ora non ne ho trovate) il film si attesta a più di 40 milioni di copie acquistate. Come comunicò la Walt Disney Pictures stessa ai tempi dell’uscita (novembre 2003), furono ben 8 i milioni di copie vendute nel suo primo giorno di disponibilità nei negozi americani.

4) Prima di “Alla ricerca di Nemo”, la Disney (che nel 2003 non possedeva ancora la Pixar, ma deteneva i diritti sui suoi personaggi) aveva già presentato il tema della disabilità nei suoi cartoni: evidente ne “Il Gobbo di Notre Dame” (1996), meno nei più datati “Dumbo” (1941), con le orecchie ipertrofiche dell’elefantino, e “Biancaneve e i sette nani” (1937), con il mutismo di Cucciolo.

5) Oltre al tema della disabilità fisica, i personaggi del film presentano quasi tutti forti crisi di identità o problemi mentali: gli squali BrutoRanda e Fiocco che cercano di rinunciare alla loro natura per diventare vegetariani, Dory e la sua perdita di memoria a breve termine, senza dimenticare i disturbi dovuti alla prigionia dei pesci nell’acquario del dentista dove si ritrova Nemo, dove si va dalle proiezioni mentali di inesistenti gemelle, a disturbi ossessivo compulsivi verso le bolle, fino a germofobia e sindrome degli accenti stranieri. Qualcosa che si avvicina ad un vero e proprio Ospedale Psichiatrico.